Collettivo Holzwege.

abbiamo fatto il possibile per non farlo sembrare un comunicato delle br. vogliate se non altro apprezzare i nostri sforzi.

venerdì, luglio 07, 2006

"Uccidi, finchè sei ancora un lupo"

Jin-roh - Uomini e lupi: Semplicemente l'anime più bello e coinvolgente degli anni '90. Che pure hanno visto tra le migliori realizzazioni - dal punto di vista tecnico - che il genere ricordi. Jin-roh è un cazzotto allo stomaco - dall'inizio alla fine. Un'esperienza dolorosamente palindromica, in cui tutto si compie in tempi e modi mai scontati, ma sempre in modo lieve. Nonostante sia tratto da un manga di Oshii Mamoru (autore dell'orrendo anime Lamù, ma anche del meraviglioso Ghost in the Shell) che cura soggetto e sceneggiatura, tutto in quest'opera fa pensarne bene: dai personaggi alle ambientazioni, tutto è curato fin nel minimo dettaglio, compreso lo scenario politico che si mette in mostra, con i sottili giochi di potere intessuti alle spalle dei protagonisti e del popolo giapponese. La capacità di Oshii è notevole: è riuscito a creare un dopoguerra alternativo nel quale il Giappone vive sotto un perenne stato di polizia ed in cui un fulmineo sviluppo economico ha portato ad uno stato di calamità sociale perenne. In questo contesto degradato/degradante attecchiscono molto presto organizzazioni volte al rovesciamento del potere - "antigovernative" - che in breve tempo spingono le autorità all'istituzione di un corpo speciale autonomo dotato di mezzi pesanti chiamato "Unità speciale" (senza molta fantasia, o almeno così è stato tradotto in italiano). Militano in questa organizzazione i soldati migliori. Questi vestono una potente corazza metallica che non lascia loro scoperto neanche un lembo di pelle: armati di potenti mitragliatori il loro compito è stanare ed eliminare i rivoltosi ed i nemici dell'ordine in generale (che non si risparmiano di ridurre in poltiglia).
Dell'"Unità Speciale" fa parte Fuse. Durante un'azione nelle fogne, mentre in superficie imperversa una lotta tra rivoltosi e poliziotti, questo ragazzo atono e meccanico - perfetto membro dell'unità - non preme il grilletto quando dovrebbe e consente a Nanami, un "Cappuccetto rosso" (così vengono chiamate le ragazzine che portano in giro per la città le bombe per i terroristi), di farsi saltare in aria. Fuse si salva grazie alla sua armatura e comincia una piccola odissea paranoide (giudiziaria ed onirica) che lo porterà da un lato a dover ricominciare da capo l'addestramento, dall'altro a sviluppare un senso di colpa che gli farà incontrare una ragazza che si presenterà come la sorella di Nanami.
In un crescendo di dolore e menzogna, Jin-roh non ci risparmia niente del sangue e la merda che circolano in ogni ambiente di potere, dove ogni vittima può essere carnefice di sè e di altri, ci restituisce le cose come sono nella loro crudezza, squarciando il velo favolistico che appanna la nostra visuale. Non è un caso se la storia è tinta a sprazzi di citazioni della favola "Cappuccetto rosso": e non della versione caramellosa a-lieto-fine dei fratelli Grimm, ma quella macabra della tradizione tedesca, in cui la bambina beve il sangue e mangia la carne della madre. Il mondo è sporco, non c'è giustizia. I lupi mangiano gli uomini. E non c'è nessun cacciatore che ti venga a salvare. Se qualcuno ha un fucile lo userà per ucciderti.
Mozione avanzata dall'onorevole SleepingCreep alle ore 3:06 AM. Se ne immischiano in 3.

sabato, aprile 15, 2006

"Ridi, e il mondo riderà con te..."

Old Boy: Se dovessi definire con una frase soltanto questa perla di cinema coreano, non potrei che dire: "l'Edipo Re in versione western Tarantiniana". Ma c'è infinitamente di più. Immaginatevi le domande, immaginatevi i perchè. Immaginatevi il motivo per il quale qualcuno possa tenervi rinchiuso per 15 anni in una stanza non più grande di 10 metri quadri. Immaginatevi i giorni, i mesi, gli anni che passano mentre il mondo cresce e si sviluppa a prescindere da voi. Mentre la vostra famiglia - l'unica cosa per la quale vivevate - viene decimata. E la colpa data a voi. Unici compagni di prigionia sono un quadro, una TV ("maestra, amante, compagna...") ed un orologio a cucù. Tutto il necessario per ricordarvi che il tempo passa. Poi, proprio mentre stavate per scavarvi il vostro classico tunnel per scappare, ecco che veniti liberati. E vi chiedete perchè, per 15 anni, siete rimasti là dentro. Ma è la domanda sbagliata.
Old Boy è un film cui appare un senso pieno solo alla fine, un film sulle doppie (ma anche triple, quadruple...) facce degli avvenimenti, della realtà che esplodono in un calvario, un pellegrinaggio pieno di simboli, simbolismi e sangue - tanto ed in tutti i sensi - che non vuole essere lavato che con altro sangue. E l'amore, sopprattutto, un amore inconcepibilmente cattivo ed indotto, vergognoso e sadico, ma allo stesso tempo totale, noncurante. E mortifero. Un paesaggio terribilmente urbano e terribilmente orientale che ricorda a tratti Hana bi di Kitano (i paesaggi ed i personaggi silenziosi), a tratti Kill Bill (la violenza ed il richiamo del sangue), a tratti Il favoloso mondo di Amelie (gli assurdi trip mentali del protagonista). Ma è questione di atmosfere: la trama è originale e ben congegnata ed anche se non vi arriverà addosso nessun colpo di scena, il finale stesso vi travolgerà comunque come un pugno allo stomaco ben assestato.
Un film per organi caldi.
Mozione avanzata dall'onorevole SleepingCreep alle ore 1:23 AM. Se ne immischiano in 0.

martedì, marzo 21, 2006

"Succede, tutto qui..."

Magnolia: Ricominciare. A vivere, dopo la morte. Accettare ciò che siamo, quanto abbiamo fatto di giusto o sbagliato, perchè il nostro passato è ed esiste, per quanto vogliamo cancellarlo od obliarlo. Per quanto vogliamo negarlo o dolercene. E le nostre azioni generano conseguenze infinite, che non governiamo, che un destino capriccioso persegue, a volte senza motivo. "But it happend" viene da dire, dall'inizio alla fine di questo film: più delle musiche avvolgenti (a volte troppo presenti, ma sempre centratissime), più della fotografia curatissima, più di una delle migliori interpretazioni cinematografiche di Tom Cruise. "Succede".
É satura di polvere la morte, come un vecchio filmato in nero di seppia, quando fa l suo ingresso dalla porta principale, prima ancora dei titoli di testa: quasi si compiace d'essere, di esistere, e quindi gioca senza preoccupazioni e senza cuore con le vite degli uomini. Si muove più sottilmente, in seguito, gioca d'attesa, nel resto della pellicola: eppure è sempre lì a ricordare al mondo che ciò che è dietro è perso, ma non per questo va dimenticato. La storia che vediamo - o che crediamo di vedere - non è quella che ci si vuole raccontare, quella di cui ci si vuole dare conto: sono cinque storie che rimangono una, che ricadono su se stesse. La felicità è costosa in questo mondo: non è felice chi è ricco, non è felice chi ha successo, non è felice chi è "in gamba", chi è intelligente. É felice, può essere felice solo chi accetta se stesso e chi ama pienamente. E ciò costa. Le bugie, la menzogna anche "a fin di bene" e la vigliaccheria sono mortifere, avvilenti. Ed anche chi - con somma ipocrisia - si pone al di sopra di tempo ed avvenimenti, tenta di sedurli e distruggerli, di cavalcarli con "maschia" ferocia, finisce in lacrime al capezzale della persona che più ha odiato lungo la sua esistenza. Magnolia è un film lunghissimo di lacrime ed agonia, ma forse è ben lungi dall'essere un film triste o pessimista. Certamente è malinconico, ma anche liberatorio, di riscatto e liberazione, come sa essere un pianto liberatorio o un violento quanto rapido temporale (forse il più strano della storia) che lava i peccati del mondo: un diluvio biblico che fa girare su se stesse le storie di persone che possono, solo riconoscendo se stesse, ritrovare la pace.
Mozione avanzata dall'onorevole SleepingCreep alle ore 9:53 AM. Se ne immischiano in 1.

martedì, novembre 29, 2005



Michael Myers, ragazzino di sei anni, nella notte di Halloween uccide la sua sorella adolescente Judith con un coltello da cucina e con in volto una maschera bianca. Dopo quasi dieci anni trascorsi in un ospedale psichiatrico sotto la cure del Dr Loomis riesce a fuggire dall?ospedale ed a rubare un?auto. Così, a pochi giorni da Halloween, torna nella casa ad Haddonfield dove aveva commesso l?omicidio della sorella. Per caso vede Laurie ed inizia a pedinare lei e le due sue amiche, Annie e Lynda.


Halloween inizia con un pianosequenza in soggettiva che è rimasto nella storia del cinema, la scena della morte di Judith. Si rimane subito sconcertati, oltre che per la bellezza in sé della scena, perché Michael tocca un tasto importante della cultura, ossia la rappresentazione dell?infanzia. La nostra visione dei bambini, nata nel XX secolo, li vede come esseri innocenti. Mettere in scena un bambino che commette un'omicidio è qualcosa che trasmette una sensazione di profondo disagio, va al di là delle categorie mentali.
Il fascino di MM inoltre risiede nel fatto che egli sia completamente privo di emozioni. Solo in due occasioni vediamo il suo volto, al cui posto c?è sempre l?inespressiva maschera bianca. Essa rappresenta un essere completamente inumano che probabilmente non prova nemmeno odio verso le sue vittime: qualcuno che non ragiona secondo alcuna logica se non quella dell?omicidio. Anche il fatto che egli uccida tutte meno la ragazza pura e vergine è indice non di una logica a livello del personaggio ma più probabilmente a livello della sceneggiatura. Ma proprio in un personaggio anonimo è più facile identificarsi...questo non è un film in cui si tifa per le vittime.
John Carpenter, grande maestro dell?horror ha al suo attivo parecchi grandi film: Fuga da New York, La Cosa, Vampires, Grosso Guaio a Chinatown. Tuttavia è Halloween il film per cui sarà ricordato. La colonna sonora è dello stesso JC e sinceramente farebbe paura anche senza immagini. Una melodia ossessiva e dissonante che ha la capacità di rendere inquietante ogni angolo della cittadina di Haddonfield, come se Michael ci stesse guardando in ogni momento. Dopotutto il film gioca molto sulla presenza/assenza di MM, sul suo poter essere ovunque a spiare Laurie. Infatti le scene tipiche di Halloween sono quelle in cui lei lo scorge ma dopo un attimo lui non c?è più. Ma, come già detto prima, la musica è lì a dirti che lui può essere ovunque.
Spero di avervi suggerito una prossima visione!!
Mozione avanzata dall'onorevole Anonimo alle ore 10:08 PM. Se ne immischiano in 2.

martedì, novembre 08, 2005

"Io sono Ubik. Prima che l'universo fosse, io sono."

Philip Kindred Dick - Ubik: É il 1992. Ma non è il 1992. Questo per molti versi. Non solo perchè quello di cui leggete non è "vecchio", ma perchè non è mai stato. Entrare in un libro di fantascienza, specialemente degli anni '50, è sempre (magari solo un po', velatamente) sorridere dell'ingenuità dell'autore: certo va considerato anche che chi scriveva, non aveva certo intenzioni vaticinatorie. E questo è particolarmente vero per Ubik, anche se proprio in questo romanzo, difficilmente si può fare a meno di notare il mondo descritto, gli oggetti, i palazzi, i veicoli. In un certo senso è il mondo a contorno del protagonista, Joe Chip, ad essere a sua volta un personaggio del romanzo. Allora colpisce quel trionfo di ingenuità analogiche, macchine esose di denaro per qualsiasi cosa: dalla porta al frigorifero, al tostapane, alla macchinetta per il caffè, alla televisione tutto funziona a monete, in casa o fuori. Un trionfo d'alienazione, dove anche la morte viene negata, in virtù di una semi-vita in congelamento, dalla quale si può ancora comunicare col mondo esterno, perquanto non eternamente.
Un mondo alienante specie per Joe, che ha - diciamo eufemisticamente - qualche piccolo problema a gestire il danaro, che finisce per non bastargli mai. Joe è un "esaminatore elettrico" per la Runciter Associates: il suo lavoro consiste nell'esaminare i soggetti "inerziali" muniti di poteri anti-psi e considerare se e quanto sono utili all'azienda. Deve cioè trovare soggetti che siano in grado di contrastare l'operato di telepati, precognitori ecc. Alla vigilia di un grosso contratto con una delle più importanti aziende del sistema solare, si presentano alla sua porta GG Ashwood, di professione "esploratore" (un procacciatore di "inerziali") ed un ragazza con un potere strabiliante: Pat riesce a tornare indietro nel tempo e modificarlo, annullando così tutte le possibilità di previsione da parte dei precog (preveggenti). Con Pat al seguito, Joe, il signor Runciter ed altri 10 inerziali partono per la Luna... ma qualcosa va storto. In un universo che comincia a collassare su se stesso ed a tornare indietro nel tempo, mentre tutti intorno a Joe cominciano a scomparire preda di una orrenda morte, solo Glen Runciter sembre essere l'entità in grado di salvarlo, malgrado sia morto sulla luna. Ed intanto una parola troneggia su tutto questo universo in disfacimento: cos'è Ubik e come funziona?
Anche in questo che è il suo capolavoro, Dick pone interrogativi fondamentali sul senso della vita, sulla realtà del sogno, sulla difficoltà di discernere, ad un certo punto, tra l'uno a l'altra, in un mondo senza dio, senza speranze, senza più prospettive se non quelle della fine.
Mozione avanzata dall'onorevole SleepingCreep alle ore 10:08 AM. Se ne immischiano in 9.

sabato, ottobre 22, 2005

"Quando la memoria ha partorito i suoi demoni, non ho potuto fermarla. "

Boogiepop Phantom: Questa non è una serie animata. Scordatevi i manga coccolosi e con gli occhioni. Scordatevi la comicità deficiente e "giapponese" caratteristica di altri anime. Qui non troverete che sangue, tristezza e disperazione. Questa non è neanche una serie animata, a dirla tutta: è un lunghissimo lungometraggio diviso in 12 parti. Dodici sessioni, dodici storie più o meno parallele, raccontate con maestria ed indefinibile crudezza. E se ne perdete una, il puzzle, già di per sè confusionale, si sgretola, si smaterializza.
La città è in preda ad una iperattività inquietante: arcobaleni abnormi, aurore boreali, cambi di panorama frequentissimi, anomalie elettriche e climatice, malessere dilagante in ogni forma. Il disagio sembra essere una piaga che colpisce ogni fascia di popolazione. Gli adolescenti neanche cercano di reagire. Ma qualcosa sta cambiando: alcuni individui stanno evolvendo, anche se troppo in fretta. In uno scenario tutt'altro che apocalittico, l'apocalisse si muove coi passi pesanti di un assassino e con quelli felpati di una bambina troppo cresciuta. In mezzo c'è chi tenta disperatamente di vivere, di sopravvivere una vita quasi normale. Quasi. É un intreccio senza scampo, senza respiro: ad unirne i fili, le storie di dodici adolescenti diversi: le loro evoluzioni, le loro morti, le loro paranoie, le loro follie. E Boogiepop, da cornice, da corollario alla fine di ogni storia: Boogiepop è il signore della morte, colui che porta via chi è già morto dentro, o chi è troppo vivo per un mondo in bilico tra limbo ed eden, egli riporta solo l'equilibrio. Ed in un mondo devastato, il mondo di chi non capisce "perchè gli uomini si ostinano a vivere, se tanto alla fine devono morire" non può essere che un benefattore.
Tra una colonna sonora soffocante ed un'animazione curatissima (finalmente un anime in cui i giapponesi sembrano veramente giapponesi!) si intrecciano i motivi ed i generi più vari ed interessanti, dalla spy story alla fantascienza, dal disagio adolescenziale al fantasy più "realistico". Il tutto in una architettura decisamente complessa: è chiaro fin dall'inizio che se perdete una sola parte dell'opera non ci capirete nulla. E forse è questo il suo limite: è adatto per lo più a palati fini, non è per stomaci deboli e necessita di tonnellate di attenzione e di partecipazione. La cosa che fa rabbia, invece, è la totale disattenzione che il pubblico italiano ha mostrato per un capolavoro assoluto del genere: forse erano troppo presi a guardare cagate immani come Inuyasha per accorgersi che gli era passato davanti quest'opera d'arte. Ma si sa "in questo periodo, la cosa migliore che ti può capitare è di essere uccisa".
Mozione avanzata dall'onorevole SleepingCreep alle ore 8:49 AM. Se ne immischiano in 0.

domenica, ottobre 09, 2005

"Il ritratto della contestazione"

Ameba n.4: Creazione, contestazione, comunità. I tre temi portanti di questo ennesimo bel numero di Ameba (giunta ormai al terzo anno di vita) sono strettamente intrecciati tra loro. Il creatore, l'artista che crea, presuppone dietro di sè una comunità da rappresentare, un mondo da cui trarre la sua opera d'arte. Un mondo in opposizione al quale mettersi, fosse solo per mostrare la sua opera, ma anche da contestare. Perchè la creazione è sempre sintomo di un certo malessere, di una immensa passione.
E se di creazione e dolore si parla, allora chi meglio di Artaud, di Van Gogh, sintomi di un malessere distruttivo fino al punto di dover uscire da quel guscio corporeo ormai stretto, ed invadere il mondo esterno con foga, virulenza, colore. Come esprimere il connubio tra creazione, contestazione e importanza in esse della comunità, se non attraverso gli slogan, le rivendicazioni del '77 bolognese, tra gli urli di rabbia punk e i deliri sonici di Radio Alice? Ottimi del resto i saggi a contorno del tutto: da uno splendido saggio sullo "stato d'eccezione" nella politica contemporanea, e quello sugli scritti politici di Jan Pato?ka. Seguono alcune chicche d'occasione come l'intervista a Valeria Parrella ("Mosca più balena") e due lettere a Gilles Deleuze.
Il tutto, come sempre e più di sempre, è redatto con una straordinaria attenzione: il passaggio ad Oedipus (l'editore che attualmente stampa e distribuisce la rivista) segna anzi un notevole salto in avanti per quanto riguarda la qualità dell'impaginazione e dei materiali di stampa.
Che altro dire? Correte in libreria ed ordinate la vostra copia. Fidatevi, ne vale sempre la pena.
Mozione avanzata dall'onorevole SleepingCreep alle ore 10:08 AM. Se ne immischiano in 1.